Come gruppo abbiamo scelto di valorizzare e “vivere” alcune giornate nazionali e mondiali che per noi sono importanti perché vicine al nostro sentire, in primis con i nostri bambini, e poi con le numerose famiglie e persone che con noi condividono occasioni ed affinità. Ieri è stata una di quelle giornate. La giornata mondiale dell’ambiente. Ma proprio la celebrazione di questo giorno speciale ha generato in me domande e riflessioni che sento come urgenti in questo tempo strano.
La prima domanda è: perché non riusciamo a prenderci cura del mondo in cui viviamo? Difficile trovare risposte plausibili o soddisfacenti.
Allora mi sono interrogato sulla parola ambiente. Che cos’è AMBIENTE? Per me ambiente non è solo pianeta terra, natura, mari, fiumi, boschi (elementi che hanno monopolizzato pagine di quotidiani e schermi televisivi di ieri, solo di ieri). Ambiente è anche altro, e noi lo stiamo imparando (ancora una volta) iniziando ad uscire da questa situazione sanitaria emergenziale e ritornando in punta di piedi proprio in quello spazio naturale vicino e tanto amato. Proprio a partire da questa nuova (ma poi non così tanto) consapevolezza, che in maniera così forte ci viene sbattuta in faccia in questa fase di ripresa, sottoforma di rifiuti che pazientemente raccogliamo in riva al fiume e nella porzione di bosco che frequentiamo, vorrei condividere altre domande a riguardo perché dalla condivisione possano magari emergere delle possibili risposte. Perché forse una salvaguardia carente e poco efficace dell’ambiente può essere dovuta proprio ad un’idea distorta di esso.
E parto proprio dall’idea di ambiente come natura. Perché sta diventando normale e tollerato riempire di sporcizia e degrado ogni luogo naturale in cui l’accesso umano è consentito? Forse perché l’ambiente naturale viene ormai vissuto dalla maggioranza delle persone come altro da sé? Come se noi esseri umani non fossimo natura e non facessimo parte della natura in cui viviamo?
Proprio perché altro da noi, forse ormai crediamo che l’ambiente naturale sia l’ennesimo bene di consumo da spremere e buttare via? Il successo che la natura sta riscuotendo in questa emergenza covid e soprattutto alla luce delle varie linee guida e normative pensate e legiferate per il suo contenimento, sembrerebbero confermare ciò. Proporzionalmente al maggior numero di individui che frequentano la natura (perché bisogna stare all’aperto, perché lì ci sono meno controlli di assembramento o altro, perché è un luogo di maggiori libertà…) è cresciuta la quantità e varietà dei rifiuti che la ammorbano. Non dovrebbe essere il contrario? Non dovremmo considerare l’ambiente naturale ancora più prezioso proprio perché ci aiuta a riemergere da una situazione di clausura fisica e mentale dandoci la possibilità reale di riprenderci la nostra vita? Già, ma se l’ambiente (inteso come natura) è altro da noi e solo un bene di consumo, forse il ragionamento non fila.
Ma per provare ad uscire da una logica semplicistica ambiente = natura, possiamo iniziare a considerare ambiente tutti gli spazi (naturali e non) che viviamo quotidianamente? La tutela dell’ambiente passa allora dalla protezione e cura non solo della natura in senso stretto, ma anche delle strade, delle piazze, delle città, delle nostre case e dalle persone che questi spazi li abitano. Certo è più facile pensare che l’ambiente sia qualcosa di limitato, circoscritto e ben definito, che non ci riguarda molto. Ma…
Ma se considerassimo ambiente anche tutti i comportamenti che quotidianamente agiamo? Allora sì che forse ci occuperemmo dell’ambiente seriamente: nel bosco, per strada, al supermercato, acquistando cibo, occupandoci della nostra salute e di quella degli altri, al lavoro, nel nostro tempo libero, a casa nostra, con i nostri figli…
Perché se ambiente è anche tutto ciò che siamo e che facciamo, allora forse la tutela dell’ambiente passa anche dalle nostre singole scelte e non solo dai trattati internazionali. Se considerassimo ambiente anche le nostre azioni, non avremmo maggiori possibilità di tutela? Se smettessimo di alimentare catene di consumo basate sull’usa e getta e sul superfluo generando meno rifiuti? Se li differenziassimo e ci occupassimo concretamente di quelli che produciamo? Se smettessimo di acquistare cibo prodotto industrialmente ed iperconfezionato/imballato? Se privilegiassimo cibo coltivato vicino a noi e senza l’utilizzo di pesticidi e altre sostanze chimiche? Se moderassimo certi agi e certe comodità costose da un punto di vista climatico e della salute? Se provassimo a limitare quella tecnologia che oltre a numerosi benefici produce anche inquinamento elettromagnetico contenendone gli effetti negativi? Se cessassimo di abusare di antibiotici e farmaci secondo un’ottica ormai dominante di salute che è solo assenza di malattia e risoluzione dei sintomi manifesti? Se ci occupassimo seriamente del nostro benessere in maniera sistemica e complessa? Se cambiassimo, anche parzialmente, stile di vita? Se assumessimo nuovi sguardi e prospettive valoriali?
La rilettura dell’ nciclica Laudato Si’ di Papa Francesco (che vi consiglio) mi ha dato l’occasione di ritrovare queste mie domande e riflessioni in parole e idee incredibilmente attuali e potenti: “È fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura […]. […] Un’ecologia integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo. Viceversa, il mondo del consumo esasperato è al tempo stesso il mondo del maltrattamento della vita in ogni sua forma. L’amore, pieno di piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore […]”. E ancora “La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento. Dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità che diano forma ad una resistenza di fronte all’avanzare del paradigma tecnocratico”.
Ecco allora che l’ambiente sarebbe un concetto più complesso costituito da molteplici e differenti elementi e dalle interazioni che autoalimentano questi elementi tra loro. Certo tutte queste connessioni e relazioni complicano la situazione. Con un’idea di ambiente così reticolare ed intrecciata, la tutela diventa un gioco incredibilmente serio e non l’ennesimo show da sbandierare e strumentalizzare a seconda dei casi e delle circostanze diversamente animate da secondi fini o interessi.
Ma forse è meno faticoso e più rassicurante credere che niente dipenda da noi, ma sia sempre ed inevitabilmente colpa di qualcosa o qualcun altro? In questo caso continuiamo così, in attesa del prossimo pipistrello.
Marco
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